Circa cinque anni fa, mi capitò di vedere un documentario del National Geographic sui portatori di zolfo dell’isola di Giava. Rimasi rapito dalla bellezza di quel luogo e impressionato per la pericolosità del lavoro che i minatori dovevano svolgere. Fu una decisione istantanea, quella di voler andare a realizzare un reportage in quei luoghi.

La mia avventura iniziò alla mezzanotte del 25 maggio 2015, sotto una pioggia battente partii dal resort dove alloggiavo nel mezzo di una piantagione di caffè e, dopo un’ora e mezza, arrivai al campo base. Con una guida iniziai la risalita verso la cima del cratere, 4 km di sterrato con un dislivello di 900 mt. Verso le quattro del mattino finalmente raggiunsi la cima a circa 2800 mt.

Era ancora buio quando scesi tra le rocce, nel cratere del vulcano Kawah Ijen. I minatori stavano già lavorando e io iniziai a scattare a 25.600 iso. Il vento trasportava i fumi di zolfo con turbinii imprevedibili e questo mi costrinse ad indossare una maschera antigas. Alle prime luci dell’alba mi apparve uno spettacolo mozzafiato. Un lago verde smeraldo, temperatura dell’acqua 35°, ph 0,5, praticamente acido solforico, e intorno un inferno dantesco. Tra i blocchi giallo fluorescente spaccati e trasportati a mani nude, seguii il lavoro pericoloso dei minatori.

Sono circa 350 quelli che lavorano qui, ma resta difficile dire quanti ogni giorno salgono e scendono dalle pareti del vulcano. Ognuno raccoglie per sé e sta a ciascuno decidere quando e quanto lavorare. Ma la fatica massacrante non permette a un portatore di scendere per più di due settimane al mese. Le ceste colme di zolfo possono pesare anche 80 kg. Il dislivello è di circa 250 mt e viene colmato da una sorta di catena umana. Una volta sul

colmo, si scende fino alla stazione di pesa ,dove i minatori lasciano il carico e vengono pagati. Un minatore guadagna circa 12 $ al giorno. I polmoni sono la piaga di questi uomini, i fumi di zolfo li distruggono poco alla volta e possono attaccare  anche pelle e denti. A questo consumo lento si sommano gli incidenti, nel Kawah Ijen sono morte settantaquattro persone negli ultimi quarant’anni. Il pericolo proviene dalla pressione dei gas che bruciano sotto la crosta dal cratere, quando è troppo forte fuoriescono ventate improvvise di zolfo che spaccano le pietre e investono i lavoratori. Allora non c’è scampo.

Giulio Montini

 

7 aprile – 17 maggio 2019
Sala mostre Fenice – Circolo Fotografico Fincantieri-Wärtsilä – Trieste
Inaugurazione mercoledì 7 aprile