“IL PADULE” di DANIELE AFFRANTI

È un lembo dell’antica palude ai piedi delle colline di Montramito.
Un dedalo di canali e di gore che si dirama fino al lago di Massaciuccoli e lo circonda.
Il magico equilibrio delle acque ha formato nei secoli un paesaggio separato dal mondo.
E visitato soltanto dagli uccelli.
Rari gli uomini.
Lungo l’orlo dei fossi e dei bozzoni sono cresciuti solo provvisori capanni per le bilance dei pescatori e i ricoveri dei barchini.
Tra falaschi e canneti le piccole altane dei cacciatori d’uccelli di passo.
Assemblaggi di tavole marcite e lamiere corrose su palafitte affondate nelle melme che non sfigurano il paesaggio, ma semmai lo completano come naturali escrescenze.
Luogo di nebulosi incantamenti, di solitudini spettrali, mostra ormai i segni di una macerazione inarrestabile.
Il presagio fantastico della dissolvenza.
Affranti, forse al di là delle proprie intenzioni (ma in un artista non contano i propositi), evita puntigliosamente la magia del paesaggio, e coglie “solo ” il lato spaventoso delle cose destinate all’autodistruzione.
L’obiettivo penetra nei particolari materici degli oggetti, lì dove i pochi segni dell’antropizzazione sono quelli dello sfacelo: gli spazi interni tra le lamiere schiodate, gli scorci d’acqua arrugginita, gli sghembi tagli di cielo tra i relitti dei manufatti.
È come se il dissolversi di una realtà riconoscibile ne generasse un’altra del tutto indecifrabile ma più solida.
I legni hanno venature che sembrano indistruttibili, le lamiere acquistano un corpo inviolabile sotto un guscio di ruggine. L’acqua, tinta dagli ossidi e dai marciumi, diventa un elemento fossile.
Eppure questo isolare ostinatamente i particolari materici, indagandoli fino a renderli quasi irriconoscibili, genera immagini sempre più astratte.
Dal nitido profilo delle cose si sprigiona una luce incorporea come l’aura sfrangiata intorno alle campiture di Rothko.
Oppure si formano oscurità impenetrabili come le ombre nei controluce di De Staël.
Ma il lavoro di Affranti non è parallelo a quello della pittura.
Semmai vi si contrappone.
E non deve ingannare l’apparente pittoricità di queste immagini.
La pittura, secondo l’inappellabile definizione di De Chirico, è “bella materia colorata”.
Su una tela dipinta potrebbero esercitarsi anche le mani di un cieco.
I quadri, anche a distanza di secoli, mantengono un loro odore, un loro corpo vivo che continua a riprodursi nelle resine e nei pigmenti.
Al contrario l’immagine digitale produce, per sua stessa natura, attraverso una matrice numerica, la completa smaterializzazione dell’Opera.
Queste foto, stampate su impalpabile e fragilissima carta cotone, non si possono avvicinare se non con gli occhi.
Basta sfiorarle e conservano per sempre l’impronta delle dita. Roberto Amato

 

DANIELE

AFFRANTI

Daniele Affranti, ha svolto la professione di fotografo pubblicitario e cronaca per undici anni a Modena, fotografando per importanti aziende italiane e associazioni, pubblicando su importanti rivista italiane e collaborando alla realizzazione di libri d’arte come Il liberty in Emilia e Pittori modenesi dell’Ottocento. Contemporaneamente si occupa di un altro aspetto legato alla fotografia, quello delle mostre, esponendo spesso nel sud della Francia, ad Arles, Avignone, Bezier.
Cessata l’attività e dopo una lunga pausa, ritorna l’esigenza dell’immagine non più vincolata da caratteri commerciali, quindi è solamente nel proporre mostre personali che ritiene di esprimere la propria visione su vari temi che più gli appartengono anche dal punto di vista tecnico, grafico ed emotivo mantenendo sempre un proprio stile non tanto caratterizzato dalla tecnologia ma dal “sentire”.

Inaugurazione Lunedì 15 gennaio ore 21,00
Apertura mostra ogni lunedì e giovedì dalle 21.00 alle 23.00