“Lavoro in analogico. Mi piace e mi fa vivere in un mondo magico, fatto di attese e di speranze. Un mondo che amo e a cui sono legato da molti anni, anche se mi procura, di tanto in tanto, apprensioni e leggere tensioni culturali”, dice l’autore veneto riferendosi a quello spazio di tempo fotografico che passa tra lo scatto e la stampa. Momento speciale nel quale il contenuto dello scatto si trasforma in immagine, per cui da astratto e invisibile, si trasfigura in concreto e visibile, assume identità, dimensione, significato. Una percezione che è già contenuto diventa anche forma. Gino Malacarne confessa che “fino a quando non si sviluppa il rullino e in camera oscura non si vede affiorare dal liquido della vaschetta l’immagine che tanto ho cercato”, vive sensazioni particolari, fotografia dopo fotografia, che sono sempre nuove e diverse, forti e affascinanti. Col formarsi dell’immagine gradualmente esse si attenuano, sfumano col cessare dell’attesa e diventano motivo di soddisfazione. Quando l’autore racconta questo passaggio si emoziona. Per lui quel momento è magico, avvolto nei segreti di un processo plurale che coniuga variabili diverse, tra concreto e astratto. Parlare con Gino Malacarne o scandagliare con lo sguardo le sue fotografie è come ascoltare o leggere Mauro Corona, artista e personaggio poliedrico e inimitabile di Erto, un piccolo paese di montagna della valle del Vajont, in provincia di Pordenone, non lontano da Lamon, il paese di Gino Malacarne. Egli parla delle sue immagini con naturalezza, quasi con disincanto, è franco e schietto. Come Mauro Corona. Due modi di essere, due spiriti liberi, due diverse sensibilità, ma un solo mondo con al centro un rapporto profondo con la Natura. Si rifletta sulla forza narrativa di due modalità espressive.
L’arte del narrare e l’arte della luce. Di frequente il fotografo di Lamon torna nello stesso luogo, conversa con gli stessi spazi, ascolta gli stessi silenzi, ripercorre le stesse strade e cerca di rivedere luoghi familiari con occhi nuovi, sempre disponibili.
Questo lavoro è un omaggio alla composizione che nasce dalla coniugazione di tracce, segni, forme, atmosfere e luce, costruite, ma nell’intimo spontanee e genuine, come spontanea e genuina è la gente di montagna. E Malacarne ne è un prototipo, uomo e fotografo. Ogni composizione è la sintesi della sua capacità di leggere fotograficamente tra le righe dell’osservato, all’interno del quale sa vedere oltre il visibile e suggerire al reticolo del mirino della macchina fotografica un’inquadratura piuttosto che un’altra. La semplicità è la cifra portante del suo fare fotografia con la quale colora le sue immagini di una speciale connotazione a cui si aggiungono uno studiato equilibrio strutturale, un’atmosfera speciale, tonalità chiaroscurali di accattivante bellezza, tutto argomentato in una trama tessuta con un linguaggio che coordina e coniuga i segni e le forme disseminate lungo i percorsi delle sue tracce. Non mancano tra queste tracce, geometrie stimolanti, figure singolari, profili di particolare bellezza estetica. Nel dare dimensione e contenuto alle sue osservazioni, l’autore cattura oggetti che il passaggio visivo trasfigura in Soggetti in grado di esprimersi. Oggetti/Soggetti come microcosmi di narratività.
Il mondo di Gino Malacarne è lo stesso che traspare dalle sue fotografie: la natura, i ricordi, una trama di tracce e di relazioni con i luoghi, di silenzi, di percezioni astratte, di momenti legati al trascorrere del tempo.
(Fausto Raschiatore)