Maelström
Corpi, volti, costumi, parole, gesti, danza, musica, ritmo, canto sono le tessere che compongono il grande puzzle della rappresentazione teatrale. L’accostamento variabile di queste tessere determina la messa scena di spettacoli tradizionali come anche la sperimentazione performativa nelle sue forme più innovative e audaci. Dalla mescolanza, dunque, prende vita il grande vortice che è il teatro, specie nelle sue forme più moderne. Ed è proprio l’essenza di questa combinazione eterogenea e creativa che Maelström mette in opera tramite un’intima ricerca visuale sul teatro portata avanti dal suo autore. Il racconto fotografico narrato da Michele Di Donato è connesso al potere vertiginoso, liberatorio e pervadente – Maelström appunto – di tutte le forme di teatro e degli attori in scena. Le immagini restituiscono il sentimento dello spettacolo, e della rappresentazione artistica tout court, alla pubblica fruizione attraverso l’uso convulso del colore e del mosso fotografico che, proprio come un turbine, catturano totalmente l’attenzione dell’osservatore in un variegato gioco di prospettive. Di Donato tocca note specifiche e fondamentali dell’ambito performativo: dall’introspezione iconografica della massima aspirazione attoriale, ovvero divenire sintesi essenziale dei personaggi interpretati, passa all’esposizione del daìmon, della tecnica e dell’arte di ogni artista sul palcoscenico, fino a giungere alla polivalenza iconologica che ogni singola azione, espressione, movimento, recitazione possono comunicare attraverso la fotografia.
Il tempo dello scatto è quello rubato a momenti di sospensione della rappresentazione artistica, crocevia tra il palco e le quinte, passaggi tra scene passate e future. Questo è lo spazio fotografico in cui ha agito Di Donato per realizzare Maelström. Un insieme di azioni volte a ritrarre gli attori mentre recitavano, velati da enormi fogli di plastica trasparente e colorata, colpiti con luci continue schermate da filtri di gelatine di colori diversi, con un allungamento spropositato dei tempi di scatto. Dall’inseguimento dei suoi soggetti fluttuanti sul palco, liberi di recitare, muoversi e ballare, Di Donato ha tratto scene immaginarie, e del tutto originali, del mondo teatrale fatto di materia da guardare, toccare, sentire, assaporare, attraverso una “fotografia sinestetica” legata più a immagini mentali che reali, a percezioni più che a rappresentazioni, come anche a emozioni che mutano e si evolvono, ma che restano impresse negli attimi illimitati della fotografia. Da questa frenetica immaginazione personale, assecondata lavorando con profondità di campo, fuori fuoco, mosso, penombra, luci spot continue, panning e light painting, derivano le visioni oniriche e pittorialiste ricercate dall’autore. Sono fotografie dalle quali traspare un’evidente purezza nella composizione, un’essenzialità e una semplicità tali da rendere queste immagini delle vere e proprie icone, a tratti angoscianti, a tratti rasserenanti, tanto espressive da riuscire a essere e a imprimersi distintamente, propagandosi nell’immaginario e nell’immaginazione di chi le osserva come capsule mitopoietiche e catartiche. Pur possedendo ognuna una chiara e prorompente individualità percettiva, le fotografie di Maelström manifestano tutte, al contempo, un’unicità di senso e di stile che le connette come cellule di un corpo, quello performativo.
Con la sua rappresentazione dell’anima surreale del teatro, Di Donato fa di Maelström un vortice a doppio senso che, da un lato risucchia l’immagine a sé stante della fotografia per immetterla nel più ampio circuito dell’arte, dall’altro assorbe lo sguardo dello spettatore con i suoi colori accesi, vibranti, emozionali, crespi e impastati; con le sue figure informi, strascicate e appena riconoscibili, rinforzate dall’energia espressiva della luce; con le sue scene hopperiane fatte solo di masse d’ombra essenziali e altamente evocative.
Attraverso una visione dissomigliante dalla realtà teatrale, ma non per questo meno vera, Maelström rispecchia il concetto fondamentale della fotografia d’arte, quello, cioè, di non produrre analogie e mimesi del mondo, bensì il suo potenziale. Di Donato ha diretto il suo obiettivo verso una prospettiva autoriale che avvera immagini fotografiche in quanto esito di scelte, sensazioni, gusti, immaginazioni e precisi valori visivi. In quest’ottica sperimentale si mette in scena il teatro, spettacolo immaginario di se stesso, scenario simultaneamente di una fotografia che sogna e scatta le sue rappresentazioni.
La curatrice
Fabiola Di Maggio
Vernisage venerdì 06 ottobre 2023 ore 18.30
Galleria FIAF Arvis
da lunedì a sabato dalle 18.00 alle 20.30.